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Non Mollare Mai

NON MOLLARE MAI!

La chiave dell’autorealizzazione non sta nel nascere con un quoziente

di intelligenza superiore, o con una presenza fisica eccezionale.

Né nel carisma, o nella capacità di comunicazione.

La storia dei grandi insegna invece che “realizzarsi” significa soprattutto…

non mollare mai!!!

 

“Winners never quit, quitters never win” dicono gli americani. Ovvero “I vincenti non mollano mai, e chi molla non vince mai”. In Italia, il modo di dire è spesso usato tra le squadre sportive con una versione più rozza, che richiama il grido neo-fascista “boia chi molla”. Se lo dicevano fra loro i giocatori della mitica nazionale del Mundial spagnolo di calcio. Se lo ripetono tutt’oggi le squadre di pallavolo e di pallanuoto,magistralmente guidati da allenatori come Velasco e Rudzie, che hanno fatto della motivazione il loro cavallo di battaglia. Moderni interpreti delle tecniche più semplici (ma ancor più dirette) del leggendario Helenio Herrera, che appendeva cartelli dello stesso tenore sulle porte degli spogliatoi, e talvolta, li infilava di nascosto nelle borse dei giocatori. “Vincere vuol dire insistere, persistere, non mollare. Mai”. Lo dicono e lo dimostrano coloro che hanno fatto della propria vita una storia di eroismo misto a intraprendenza. E che oggi sono un esempio di ciò che la ferrea volontà offre in premio a chi accetta di pagare l’alto prezzo che essa richiede.

 

Missione impossibile

Arthur nacque sano e robusto, intelligente e caparbio. E per anni non seppe di avere un problema. Scoprì di averlo quando si accorse di essere gradito e ben accetto quando frequentava gente con il suo colore di pelle, ma trattato con distacco, seppur gentilmente, da coloro che avevano qualche pigmento di meno.Ancora trent’anni fa, in tante zone degli Stati Uniti, il razzismo era abolito solo a parole. Nei fatti, le autorità non disturbavano organizzazioni manifestamente razziste, come il famigerato Ku Klux Klan. Vere e proprie sette che nascondevano fra i propri incappucciati persino sindaci, sceriffi e autorità di governo. Arthur, nato povero, era riuscito a studiare quel tanto che bastava per maturare una propria coscienza civile, e una propria cultura. Crescendo, imparò molto della storia dei propri “fratelli” e iniziò a soffrirne sempre di più. Lo angustiava il fatto che il mondo non sapesse ciò che avevano subito i suoi antenati, strappati dalla patria africana, in catene, stivati come carne da macello in navi soffocanti, dove partivano in trecento per arrivare in cento, duecento al massimo. E lo disgustava il sistema di protezione creato dai bianchi per coprire le malefatte di un secolo prima, che perduravano nella vita quotidiana, solo più mascherate, anzi incappucciate. Arthur aveva un sogno: voleva studiare la storia dei suoi antenati, per capire le origini del razzismo, raccontare le vicissitudini dei primi neri sbarcati in catene, denunciare le violenze subite e spiegare conie il razzismo si era attenuato, ma non certo spento. In un'America iperprotezionista e ipocrita sul proprio passato (e ancor di più sul proprio presente), il suo sogno significava sfidare le autorità costituite. Il potere allora era completamente bianco. In politica, nei mass media, nei giornali, ovunque. Se anche Arthur avesse realizzato l'opera (gia immane) di ricostruire la storia dei propri antenati, chi mai l'avrebbe pubblicata? E a che sarebbe servita. se fosse poi circolata solo negli ambenti della gente di colore? Missione impossibile, all’apparenza. Ma Arthur pensava: “C'è chi ha creato imperi durati secoli. C'è chi è guarito da malattie incurabili. C'è chi ha cambiato la vita di milioni di persone, diventandone guida e ispirazione. L'impossibile è qualcosa per cui siamo disposti a lottare dando la nostra stessa vita”.

 

Non ti scoraggiare mai

Arthur trascorse mesi risparmiando piccole cifre per pagarsi un biglietto aereo per l'Africa. Impiegò due anni per trovare, tra le tribù più sperdute, notizie sui suoi avi. L'impresa fu difficilissima. I momenti di scoraggiamento, numerosissimi. Immaginate di aggirarvi per l'Africa a chiedere notizie di gente rapita dai bianchi 200 anni prima. Ma, alla fine, trovò chi gli raccontò la storia dei suoi avi. Da li risalì ai propri antenati, fino al primo che fu portato in catene in America, all'interno di una di quelle navi cimitero, dove si entrava vivi e spesso si usciva morti. Raccontarono ad Arthur che i cacciatori di schiavi arrivavano fino all’interno e poi, per portare al mare (distante centinaia di chilometri) i neri catturati, li costringevano a marciare la notte intera. E il giorno? I cacciatori, per non farsi scoprire, costringevano i neri a scavare delle enormi buche in mezzo al deserto, e li ammassavano uomini, donne e bambini, coprendo la buca con un telo. In cento, duecento venivano costretti in quelle buche per un giorno intero, col sole a 45', che uccideva. Ed era solo l'inizio dell'incubo. Arthur piangeva mentre raccoglieva queste testimonianze e sempre più voleva portare in fondo la sua missione. A ogni costo.

 

Una ricerca durata anni

Quanto più è ardua la missione, tanto più sono alti gli ostacoli. Arthur tornò in patria, forte di un nome: quello del suo primo antenato. Iniziò le ricerche. Scoprì le incredibili sevizie perpetrate nei campi di cotone dai crudeli padroni. Le registrò tutte. E andò avanti nella sua ricerca. Impiegò altri cinque anni: faticosissimi, non retribuiti, ricchi solo di molestie e minacce. Alla fine, quando poté documentare tutto quello che aveva ascoltato e letto, ne fece un libro. Raccontava, attraverso la storia del suo primo antenato, le vicende della sua gente e le angherie subite per 200 anni. comprese quelle che ancora persistevano. Voleva che fosse pubblicato. E che poi diventasse uno sceneggiato, da mostrare in televisione. Sognava che il inondo intero lo guardasse e ne comprendesse il significato. La sua era una denuncia pacifica per risvegliare la coscienza comune di quanti non sapevano.

Cominciò a bussare alle porte degli editori e dei mass media. Incontrò freddezza e scarso interesse. Gli editori erano bianchi e si sentivano oltraggiati dai contenuti del libro. I produttori televisivi dicevano che i bianchi non avrebbero guardato un simile sceneggiato e che non avrebbe quin­di fatto audience.

 

Oltre i “no”

Arthur non si dette per vinto. Ma non immaginava quanto sarebbe stata dura. Non erano solo “No” quelli che riceveva. Erano veri e propri inviti a desistere. Derisioni, minacce. “Puoi insiste quanto vuoi, ma nessuno mai ti appoggerà. E' come chiedere a un nemico di fare qualcosa contro se stesso”. Passavano gli anni. Il lavoro di Arthur si andava sempre di più perfezionando. Ma le difficoltà non diminuirono. Dopo quindici anni, era ancora tutto fermo. “Non mi sono mai scoraggiato, mai. Ho sempre creduto che un uomo può sempre realizzare il suo scopo. se non smette mai di provare a raggiungerlo”. Alla fine, un piccolo editore gli diede fiducia e, grazie ad alcuni amici, decise di pubblicare il libro. Ma non era sufficiente. Occorreva distribuirlo. Con altri mesi e mesi di lavoro fu infine possibile farlo uscire in un certo numero di librerie. Il libro iniziò a decollare. Divenne un caso editoriale. Le televisioni furono costrette a occuparsene. Un intero popolo iniziò a far pressione affinché tutto quanto era stato raccontato da Arthur fosse reso noto a tutti. Le grandi reti tv dovettero farne uno sceneggiato. Divenne uno dei più grandi della storia televisiva. Si chiamava Radici. Commosse milioni e milioni di persone in tutto mondo che, grazie alla volontà di Arthur Hailev, conobbero la vera storia di un popolo libero, fatto schiavo e che, grazie a uomini come Kunta Kinte, primo antenato di Arthur seppero ricostruirsi una vita. Provando fino alla morte a realizzare il proprio sogno.

Tratto da Millionaire

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